Un team IEP è stato impegnato a Milano, al Centro SAI Sammartini, a sostegno dell’accoglienza di alcuni nuclei familiari monoparentali con numerosi minori. Vi raccontiamo la situazione, le strategie adottate per aiutare l’integrazione di madri e figli e i risultati ottenuti.
A cura di Carola Maragnoli
Psicologa e psicoterapeuta transculturale IEP
Il Contesto
Nel Centro di accoglienza Sammartini della Cooperativa Farsi Prossimo, sono presenti donne sole e nuclei familiari monoparentali.
Il Centro di accoglienza Sammartini è un centro SAI (Sistema di Accoglienza e Integrazione) che, nel sistema a due livelli, rientra nella seconda accoglienza.
Il sistema di accoglienza dei migranti in Italia infatti opera su due livelli:
- prima accoglienza, che comprende gli hotspot e i centri di prima accoglienza
- seconda accoglienza, che comprende il SAI (Sistema di Accoglienza e Integrazione)
Il SAI ha sostituito il SIPROIMI (Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati) e i CAS, (Centri di Accoglienza Straordinaria), ibrido tra prima e seconda accoglienza.
Il SAI ritorna ai principi del sistema ancora precedente, SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), ossia a un’accoglienza più orientata all’integrazione. Al sistema possono accedere sia i richiedenti asilo che i titolari di protezione.
La richiesta
Da parte della coordinatrice e degli operatori del Centro SAI Sammartini ci è stato chiesto un supporto per meglio gestire alcuni problemi nati dall’eccessiva esuberanza di alcuni ragazzi appartenenti ai nuclei monoparentali che avevano anche causato danni materiali alla struttura.
Dei quattro nuclei segnalati tre sono originari del Salvador, mentre un nucleo viene dall’Azerbaigian. Tutte queste famiglie monoparentali sono state richiedenti asilo e ora sono titolari di protezione internazionale.
I minori hanno un’età compresa tra gli 8 e i 12 anni. Tre nuclei hanno due figli e uno è composto solo dalla madre e un unico figlio .
Gli obiettivi
Dopo aver ricevuto un briefing dalla coordinatrice e averne discusso sia nel nostro team sia con gli operatori del Centro, sono stati definiti e concordati gli obiettivi principali dell’intervento:
- comprendere le cause di quegli agiti
- far elaborare ai minori le emozioni che li avevano portati a compierle
- proporre e sperimentare con loro strategie adattive alternative
- condividere con gli operatori stessi strumenti funzionali a sviluppare relazioni di fiducia e affidamento.
Il progetto IEP
Il progetto è stato pensato in diverse fasi.
1. Colloqui individuali con le mamme
Si è iniziato con la conoscenza delle mamme in colloqui individuali. In relazione al numero di figli si sono programmati uno o due colloqui, durante i quali abbiamo presentato il progetto e raccolto l’anamnesi dei minori.
Si è potuto in questa fase osservare:
- gli aspetti di ingaggio nel progetto e nel ruolo genitoriale,
- le determinanti culturali di tale ruolo presenti nelle madri,
- l’approccio alla vita nel centro da parte loro e dei loro figli .
2. Prima osservazione individuale dei minori
La prima osservazione ci ha permesso di iniziare a conoscere i ragazzi. Abbiamo innanzitutto spiegato ai bambini l’obiettivo del progetto: ovvero, aiutarli a vivere più serenamente il periodo che avrebbero trascorso all’interno del centro Sammartini che – anche se solo in via temporanea – al momento era la loro casa.
Successivamente, è stato chiesto ai minori di accompagnarci in un breve giro del centro, mostrandoci gli spazi per loro più significativi. L’obiettivo è stato conoscere il loro vissuto di presenza legato al luogo fisico e di comprendere quali aree erano percepite da loro come spazi comuni e quali invece come spazi propri/privati.
È emerso, attraverso questa attività, che tutti i bambini provavano dispiacere per le aree del centro che erano state rovinate e danneggiate senza però che nessuno se ne sentisse responsabile. Al termine di questa attività abbiamo lasciato il tempo affinché ogni bambino facesse un disegno libero.
3. Seconda osservazione individuale dei minori
Abbiamo dato ai minori un foglio bianco, suddiviso in quattro parti, su ognuna delle quali era riportato il nome di una delle quattro emozioni fondamentali – gioia, tristezza, rabbia e paura – e abbiamo chiesto loro di assegnare un colore ad ognuna di esse, utilizzando acquerelli o tempere o matite colorate.
Alcuni dei bambini hanno riempito interamente i riquadri, mentre altri hanno disegnato al loro interno delle emoticons. In alcuni casi, i minori hanno trovato troppo difficile o doloroso assegnare un colore a un’emozione, lasciando quindi il riquadro bianco.
Infatti successivamente è stata fornita ai minori un’immagine del contorno della figura umana, e abbiamo proposto loro di colorare la zona del corpo in cui sentono di sperimentare ognuna delle quattro emozioni precedentemente presentate.
In questo caso, alcuni bambini hanno diviso l’immagine in sezioni definite, assegnando un’emozione ad ogni parte del corpo. Altri bambini, invece, hanno fatto fatica a collocare le emozioni all’interno del corpo.
Attraverso queste attività è emerso come la rabbia e la paura, in particolar modo, siano due emozioni fortemente presenti nei bambini coinvolti nel progetto.
4. Osservazione dei fratelli
Questa osservazione, differentemente dagli incontri individuali, è stata svolta nella stanza dei giochi, stanza a cui è stato attribuito dai più un senso di appartenenza.
Sulla base delle attività svolte durante la precedente osservazione, abbiamo chiesto ai fratelli – separatamente – di identificare una situazione o un evento, relativo alla vita nel centro, in cui si sentono o si sono sentiti felici, tristi, arrabbiati e impauriti.
A ogni minore è stato poi chiesto di mimare al fratello gli episodi individuati, cosicché l’altro potesse indovinare.
Questa attività ha permesso ai fratelli di confrontarsi e di riflettere sulle emozioni provate che, in alcuni casi, riguardavano, inaspettatamente per loro, l’un l’altro.
Successivamente – poiché il tema della gestione della rabbia e del danneggiamento degli spazi del centro era emerso svariate volte in modo significativo – abbiamo letto ai minori il libro Che rabbia! di Mireille D’Allancé.
Il libro racconta di un bambino, Roberto, che – a seguito di una pessima giornata – avverte una Cosa crescergli dentro, sempre più grande ed incontenibile, che alla fine esplode. La Cosa – rossa ed enorme – viene creata nella sua pancia ed esce dalla sua bocca, una volta uscita mette in subbuglio la stanza di Roberto, distruggendo tutto ciò che trova. Quando, però, la Cosa distrugge il suo giocattolo preferito, Roberto la ferma e, poco alla volta, riordina la stanza. Una volta terminato, Roberto si accorge che la Cosa è diventata molto piccola, e la ripone in una scatola.
Abbiamo poi proposto ai minori un ‘patto’, suggellato da una stretta di mano: abbiamo chiesto loro di impegnarsi a non danneggiare nulla fino all’incontro successivo e di cercare di osservare e se necessario ricordare lo stesso anche agli altri bambini.
Infine, sono stati presentati ai minori alcuni esercizi di respirazione utili a gestire la rabbia. In particolare, abbiamo proposto ai bambini di stendersi supini su alcuni tappetoni e di provare a respirare profondamente ‘con la pancia’, portando quindi il respiro nell’addome e non nella parte alta del petto.
Mentre alcuni bambini hanno trovato questa attività rilassante e benefica, per altri abbiamo dovuto cercare strategie alternative perché rimanere in silenzio e concentrarsi sul proprio mondo interno risultava essere troppo doloroso.
5. Osservazione dei minori con la propria mamma
Durante questa osservazione sono stati coinvolti gli operatori di riferimento dei nuclei.
Abbiamo dapprima proposto un gioco di carte sulle emozioni: Smiley Game.
Sono state disposte sul tavolo alcune carte a forma di smile, di colori diversi e rappresentanti emozioni differenti (gioia, tristezza, rabbia e paura). Lanciando due dadi – uno con i colori ed uno raffigurante gli smile – i bambini e le mamme dovevano trovare, il più velocemente possibile, la carta con il colore e l’emozione corrispondente al lancio dei dadi.
Per ‘vincere’ la carta, era però necessario raccontare un episodio o una situazione in cui era stata sperimentata l’emozione rappresentata.
Abbiamo poi chiesto ai minori se fossero riusciti a rispettare il ‘patto‘ suggellato durante il colloquio precedente, ed è stato proposto loro di mantenerlo fino all’incontro successivo.
Infine, sono stati presentati alcuni altri esercizi di rilassamento.
In primo luogo, i minori hanno ripetuto l’esercizio di ‘respirare con la pancia’. I bambini sono poi stati accompagnati in un esercizio di detensionamento: in posizione supina è stato chiesto loro di contrarre e decontrarre le varie parti del corpo, una alla volta, respirando profondamente.
6. Incontro finale
All’inizio dell’incontro è stata fatta passare di bambino in bambino una ciotola, all’interno della quale tutti hanno inserito un oggetto o un’emozione che il progetto ha lasciato loro o con cui sono arrivati quella stessa mattina. La ciotola è stata poi messa a ‘lievitare’ e, alla fine dell’incontro, è stata nuovamente fatta circolare tra i minori, così che ognuno potesse prendere una cosa o un’emozione da portare via con sé.
Ad ogni bambino abbiamo poi consegnato una piantina aromatica, che è stata piantata nell’orto. Questa attività ha permesso di abbellire il centro – desiderio espresso più volte dai minori – affidando però ai bambini la responsabilità di averne cura per un bene allo stesso tempo proprio e di uso comune.
Abbiamo infine consegnato a tutti i bambini un libriccino, creato ad hoc, sulla cui copertina era riportata una poesia differente e specifica per ciascuno.
All’interno del libriccino abbiamo inserito:
- I loro prodotti artistici dell’attività sulle emozioni,
- Collegata alle pagine più significative del libro Che rabbia!, una breve descrizione delle tecniche di respirazione, così che i bambini possano metterle in pratica in autonomia,
- I disegni liberi per chi li aveva fatti
- Il nome della pianta aromatica officinale scelta per ciascuno, gli usi e le cure che necessita.
Si è poi comunicato ai minori che – in accordo con l’équipe del centro – sarebbe stata riaperta la zona del cortile, ora fornita di porte, entro cui poter giocare a calcio, con lo scopo di celebrare il patto stipulato purché venga mantenuto anche in futuro.
Una educatrice del centro SAI presente durante l’incontro, è stata poi investita del ruolo di referente dei bambini, di modo che i minori possano avere un riferimento specifico a cui potersi rivolgere con fiducia.
L’incontro si è concluso con una partita di calcio condivisa, molto sentita e partecipata.
C’è stato infine un momento di restituzione ad ognuna delle mamme, durante il quale è stato descritto e raccontato loro quanto emerso dal percorso con i loro bambini.
La partecipazione è stata significativa e tutti si sono messi molto in gioco e hanno contribuito a rendere questo progetto, abbastanza ‘sfidante’ una grande soddisfazione condivisa fra genitori, figli, operatori e professionisti del team IEP.
Ringraziamenti
Grazie a Enrica Fabbris e a tutti gli Operatori del Centro Sammartini che ci hanno accolto e si sono fidati di noi e lasciati coinvolgere, alla guida salda della dott.ssa Rita Erica Fioravanzo e al contributo prezioso e creativo di Alice Toschi, psicologa in tirocinio presso lo IEP.
Carola Maragnoli
Psicologa e psicoterapeuta transculturale IEP